La definizione di Tactical Urbanism identifica numerose e differenti varietà di esperienze di progettazione urbana che, in maniera non coordinata ma progressivamente diffusa, stanno avendo luogo in differenti parti del mondo. Sono spesso promosse da attivisti o advocacy planner i quali, mossi dalla consapevolezza che i tradizionali strumenti di pianificazione e trasformazione del territorio non sembrano più sufficienti per far fronte alle esigenze immediate delle comunità, ricercano soluzioni condivise la cui accessibilità è determinata dal basso costo, dal breve periodo e dalla loro possibile replicabilità.

Il termine tattico si pone, infatti, in contrapposizione con il termine strategico, che sempre più comunemente viene associato a processi di pianificazione a lungo termine. Questa scelta etimologica intenzionale, riprende l’antitesi riconducibile al linguaggio militare secondo cui, a schemi tattici corrispondono obiettivi e azioni immediate sul campo di battaglia, mentre, il disegno strategico contiene finalità di lungo periodo dell’intero processo bellico. A questo proposito sembra necessario sottolineare che, il manifestarsi energico e spontaneo di azioni urbane tattiche promosse dal basso, non intende negare, tantomeno sostituire il ruolo della pianificazione di lungo periodo ma, rende sempre più evidente la necessità di integrare a processi di pianificazione consolidati e codificati, interventi con effetti a breve termine, che siano capaci di dare risposta immediata e visibile alle esigenze della città quotidiana e di prossimità, innescando processi, anche minimi, di trasformazione urbana e stimolando il rinnovamento dell’apparato giuridico/normativo atto alla sua gestione.

Nei principi e nelle sperimentazioni del Tactical Urbanism, teorizzato da Mike Lydon e Antony Garcia (Street Plans Collaborative) nel 2011, si riconosce l’impresa Tamalacà (Tutta Mia La Città), composta da un innovativo gruppo multidisciplinare al femminile, nato come spin-off dell’università di Sassari, che da diversi anni si occupa di interventi di rigenerazione urbana e processi partecipativi a piccola scala. Avviata la collaborazione con Lydon, l’urbanista e co-fondatrice di Tamalacà Valentina Talu, insieme all’architetta Paola Bazzu, elaborano Tactical Urbanism Italia 5, pubblicazione ad accesso libero disponibile presso https://issuu.com/streetplanscollaborative/docs/tu_italy_ita. La guida, immediata e brillante, raccoglie 18 casi studio nazionali, di cui tre coordinati da Tamalacà nella città di Sassari. Si tratta di interventi di autocostruzione di spazi pubblici di prossimità, promozione dell’uso pubblico della strada, rivendicazioni antagoniste per un uso collettivo e pubblico della città, community hub. Unitamente alla presentazione dei casi, le autrici arricchiscono l’apparato teorico del Tacnical Urbanism attraverso la condivisione delle “lezioni apprese” dall’esperienza italiana.

1. Copertina della guida Tactical  Urbanism Italia 5

Il presente articolo, scritto a seguito di un’intervista a Valentina Talu, ne rielabora i contenuti, con particolare riferimento a tre tematiche distintive che caratterizzano la ricerca-azione di Tamalacà.

1. Tactical Urbanism: una delle risposte possibili alla “limitatezza della tradizionale cassetta degli attrezzi dell’urbanista”.

Le pratiche italiane e internazionali dimostrano come, ove necessario, la finalità tattica è perseguibile attraverso un “disturbo costruttivo” della norma e degli strumenti di governo urbano, tenendo conto, nel processo di elaborazione della proposta di cambiamento, della capacità del sistema di assimilarla. A questo proposito è emblematico il caso dell’Ex-Asilo Filangeri di Napoli che, nel 2012, a seguito dell’occupazione e conseguente autogestione da parte di un gruppo variegato di attivisti, è stato sottratto ad un uso privato, restituito alla collettività e dedicato ad attività culturali condivise e partecipate. Successivamente, mossa dalla volontà di ottenere il riconoscimento giuridico delle attività e delle nuove forme di gestione dell’Ex- Asilo, la comunità di riferimento ha elaborato la “Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano”, reinterpretando l’istituto giuridico dell’Uso Civico. Nel 2015 il Comune di Napoli legittima e recepisce ufficialmente tramite Delibera il nuovo strumento, associando lo spazio in questione alla categoria di “Bene Comune” in virtù del suo uso collettivo. Questo atto formale segna il passaggio da azione illegale ad azione istituzionalmente riconosciuta (from unsanctioned-to-sanctioned), dimostrando come, “a normativa invariata, sia possibile costruire strumenti più snelli ed efficaci (Atti Amministrativi, Delibere di Giunta, Ordinanze Comunali,…) riconosciuti anche a lungo periodo e in modo permanente, inserendosi nelle ambiguità e nei buchi normativi, innovando così gli apparati convenzionali, come nel caso napoletano, in cui si è approfittato di un corto circuito normativo tra il regolamento dei Beni Comuni e l’istituto degli Usi Civici, il quale è stato individuato, rilevato e reso operativo attraverso un intervento di innovazione normativa”. Questo caso rende evidente il valore della multidisciplinarietà all’interno del gruppo di lavoro, in cui ognuno mette a disposizione le sue competenze specializzate per il progetto comune, come nel caso di Tamalacà, che si avvale della collaborazione in pianta stabile della giurista e avvocato Roberta Guido, specializzata nelle suddette tematiche.

2. Il valore relazionale delle pratiche di “autocostruzione”.

Una delle lezioni apprese dalle esperienze di Tamalacà riguarda la centralità della ricerca della qualità formale nell’intervento urbano; apparentemente trascurata nell’ esperienze anglosassone, assume valore se considerata come “strumento funzionale al processo di rigenerazione urbana fisica e simbolica della città”. Alcune esperienze tattiche mettono in luce le potenzialità dei cantieri di autocostruzione, pratica ancora poco esplorata in Italia (meriterebbe maggiore spazio all’interno di programmi formativi di urbanisti e architetti), ricca di potenzialità e capacità di incidere in maniera significativa nel rapporto tra abitanti e spazio di vita. Tra queste emerge il progetto sassarese Dispersione Zero, in cui 20 ragazzi dell’istituto comprensivo Monte Rosello Alto, guidati dalle progettiste di Tamalacà, sono stati coinvolti insieme agli abitanti del quartiere nella riattivazione di uno spazio scolastico sotto-utilizzato. Il legame che un gruppo sviluppa nel fare, dove ognuno mette a disposizione una personale conoscenza, oltre al vantaggio del basso costo e della rivalutazione delle competenze manuali, assume un valore relazione impagabile, ponendosi come occasione di costruzione di un comunità e favorendo la responsabilità e la propensione degli abitanti al prendersi cura dello spazio.

3.  L’approccio partecipativo di Tamalacà.

I percorsi di partecipazione alla base della costruzione dei Piani, sono ormai essenziali perché un processo si possa dire democratico, ma la crescente diffusione delle iniziative dal basso rende evidente la necessità di interventi immediati e concreti, in modo che le comunità possano percepire e visualizzare il cambiamento in atto. Esistono dunque più livelli di partecipazione, che possono presentare caratteristiche diverse, in relazione al soggetto promotore (nata dal basso – promossa dalle istituzioni). Mentre la partecipazione promossa dalle istituzioni è spesso “finalizzata a facilitare la risoluzione o il sopimento dei conflitti”, la partecipazione promossa dal basso attribuisce valore rilevante all’elemento conflittuale come motore di cambiamento, interpretandolo come risorsa, obiettivo ed esito stesso della partecipazione. L’approccio di Tamalacà non è assimilabile alla partecipazione progettata super partes, ritenuta indispensabile per i grandi interventi urbani, i grandi piani e le grandi opere, ma in cui talvolta le circostanze operative non permettono di mappare fedelmente la comunità di interesse, garantendo la trasparenza del processo. Tamalacà sceglie di impegnarsi in “tante piccole opere grandi”, prediligendo gli interventi a scala di quartiere, in cui sono ben noti i volti dei partecipanti, i ruoli sono riconoscibili e i progettisti si schierano dichiaratamente con la parte svantaggiata. Questa dimensione di prossimità, condizione prediletta Tamalacà, permette la “sintonizzazione sottile” (Paba, 2010) con le comunità, percependo le esigenze quotidiane minute degli abitanti e i loro problemi pratici.

3. Home sito web TaMaLaCa

Conclusioni

La ricerca-azione condotta da Tamalacà si interroga e cerca di offrire risposte concrete sul ruolo della dimensione spaziale urbana nella produzione del benessere delle comunità e sulla sua facoltà di offrire un contributo nel garantire e estendere le capacità individuali. Ispirate dalla teoria del Capability Approach di Amartya Sen, le professioniste concepiscono il progetto urbano come “processo e strumento abilitante” e promuovono un tipo di progettazione partecipata finalizzata ad abilitare “gli abitanti a vivere il tipo di vita a cui attribuiscono valore”. Al centro della loro attenzione sono spesso categorie urbane “svantaggiate” come i pedoni, i bambini, gli anziani, che diventano protagonisti del nuovo progetto di città e, attraverso di esso acquisiscono consapevolezza, apprendono, sperimentano approcci di auto-promozione delle proprie condizioni di vita e mezzi di contrasto alle iniquità socio-spaziali. Il conflitto, esito della partecipazione, è dunque esso stesso strumento attraverso cui i soggetti divengono autoconsapevoli delle capacità di rivendicare i propri diritti urbani. Questa interpretazione assume particolare rilevanza nella specificità del contesto italiano in cui, rispetto a quello anglosassone, si riscontra una difficoltà oggettiva nel passaggio from unsanctioned-to-sanctioned. Come evidenziato dallo stesso Lydon, forse solo nel caso dell’Asilo Filangeri, con la transizione dallo stato di illegalità ad atto amministrativo pubblico è avvenuto un reale processo di apprendimento da parte dell’amministrazione, ma si tratta di casi ancora isolati. Nel contesto italiano il dialogo tra le comunità, gli attivisti e le amministrazioni, seppur aperto, non è ancora fluido, immediato ed efficace.

Tra i riconoscimenti che vengono attribuiti alle pratiche tattiche, vi è proprio quello di richiamare l’attenzione generale su questioni trascurate dalla Politica e mantenere vivo il dibattito. L’efficacia tattica di una proposta si realizza con maggiore forza quando questa acquista legittimità giuridica capace di garantirne la continuità, ma sembra lecito riconoscere che, proprio l’animazione e lo spirito propositivo dei movimenti, collettivi e attivisti, anche nell’assumere posizioni di conflitto, predispone un necessario dialogo tra parti, requisito fondamentale per una Politica partecipata di qualità.

 Giulia Cubadda

Bibliografia

Harvey D., Il capitalismo contro il diritto alla città, Ombre Corte, Verona, 2012.

Nello O., La città in movimento. Crisi sociale e risposta dei cittadini, Edicampus, 2006.

Paba G., Corpi Urbani. Differenze, interazioni, politiche, Franco Angeli, Milano, 2010.

Sen A., L’idea di giustizia, Mondadori, Milano 2010

Sitografia:

www.street-plans.com

www.tamalaca.com

https://issuu.com/streetplanscollaborative/docs/tu_italy_ita

http://mag.sardarch.it/2014/puo-lurbanistica-tattica-cambiare-la-pianificazione-ufficiale/