Una riflessione critico – storico – territoriale su ciò che è stato il fenomeno dell’inurbamento avvenuto in pochi decenni del secondo dopoguerra nel secondo polo abitato della Sardegna. Un piccolo tassello per aiutarci a pensare a quella che vorremmo fosse la città del futuro; o a quella nella quale non vorremmo vivere.
CAPIRE[1]: La crescita urbana di Sassari è stata un seguito di fasi alterne e tra loro eterogenee. Dai diffusi villaggi giudicali e da una storia ancora in parte da scrivere all’interno della rete de sas curatorias, la storia è quella di una città che si completa nell’economia del suo territorio in modo sempre più completo.
Nel XVI secolo si è già attestata la compatta e fiorente fascia concentrica di olivi estesa fino a un massimo di 10 km dal centro. La regolare metrica della scansione puntuale della coltura conviveva con una ricca e fiorente economica di produzione di verdura nelle valli fluviali e di coltivazioni cerealicole protette dai venti in collina, conservata in una forma feudale di utilizzo-proprietà. E una società divisa principalmente in due: la massa di lavoratori organizzati in secolari corporazioni da un lato (con un peso demografico molto forte), e una forte presenza nobiliare, rafforzata dalla presenza gesuitica dell’Università.
La separazione definitiva tra questa forma di proprietà terriera e tra le due parti della popolazione si è acuita nei decenni successivi alla repressione dei moti antifeudali di fine settecento. Grazie alla fedeltà alla corona sabauda di una cospicua parte della popolazione agiata, dopo la repressione l’elargizione di nobiltà, di cariche e di benefici pubblici ha posto le basi per la creazione di un tessuto sociale medio-borghese che, privato dell’istituto dei diritti feudali nel 1838, si reinventò lentamente commerciante e proprietario.
Quello che si registra a cavallo tra ottocento e novecento è uno sviluppo urbano comune a numerose città italiane nella metodologia (e nei tempi), ma anomalo per direzioni e modalità.
A fronte di un primo compattamento del centro storico, dell’abbattimento delle mura e del castello, della nascita di una cinta di edilizia di pregio lungo quelle che diverranno le zone di prima espansione residenziale, si definiscono le due direttrici di sviluppo verso alcuni sbocchi immediati della città vecchia: quella afferente a viale Italia in direzione sud-ovest e quella di via Roma verso sud-est.
La costruzione del percorso ferroviario nel 1872 invece rompe fisicamente il legame naturale della città verso il nord, tagliando fuori in un colpo solo i campi coltivati nel ricco sistema di valli fluviali e il pendio digradante in linea retta verso Porto Torres. La limitrofa presenza del cimitero e di alcune attività industriali legate ancora a un’economia agricola pre-industriale (come quella dell’olio o delle concerie) formano una barriera produttiva all’espansione urbana orientata verso il suo asse naturale.
Passato indenne il secondo conflitto mondiale, Sassari non vive le tragiche esigenze abitative di altre realtà europee. A dominare lo scenario dell’insediamento territoriale sono le invasive politiche di sviluppo industriale del decennio successivo, che hanno decretato la lenta perdita di un legame produttivo con il territorio e quindi di un intero tessuto sociale, in nome di una prospettiva di sviluppo petrolchimica a Porto Torres.
Lentamente e ancora oggi, la perdita del lavoro agricolo e della tradizione produttiva ha coinciso con l’abbandono dei suoli, la parcellizzazione della proprietà e l’espansione della città nel territorio. Nascono e si consolidano borgate poco dense abitativamente su antiche preesistenze di supporto all’attività agricola della zona, basate principalmente sull’asse della ex SS 131.
Contemporanea, l’altra spinta verso il terziario, che porta alla trasformazione di Sassari in città di servizi e commerci. Sulla spinta residua di una borghesia e una nobiltà sempre più dissipata, si compatta e si costruisce in città: gli antichi capitali fondiari si trasformano in rendita immobiliare. Le statistiche del comparto edilizio affermano che nei periodi 1962 – 1971 e 1972 – 1981 si è costruito un numero di edifici residenziali quasi sei volte maggiore a quello del periodo 1919 – 1945[2]. Ne consegue una compattazione del tessuto urbano peri-centrale e la crescita di nuovi quartieri residenziali in una seconda fascia di lontananza dal centro storico, oltre che la dispersione verso l’agro con la creazione lenta di una zona industriale – commerciale periferica sempre più terrain vague.
La leggera flessione demografica rilevata negli ultimi dati statistici di fine 2016 rivela un lieve calo che tuttavia, anche computato assieme a quello dell’anno precedente, non inverte il trend del decennio 2001 – 2011 che configura Sassari come un comune sito in quella cintura di municipalità “esterni” (anche fisicamente) al nucleo dell’entroterra affetto da fenomeni di spopolamento[3].
OSSERVARE: Scorci, frammenti ricomponibili o persi nella serialità, contraddizioni, sovrapposizioni storiche. La città che non subisce lo spopolamento contemporaneo ha anche questo volto.
Sono stati ritratti principalmente i quartieri di Cappuccini, Luna e Sole, Prunizzedda: nati in epoche diverse, centrali, hanno subito differenti vicende urbanistiche. Nel primo, convivono ville liberty e condomini con finiture di pregio e classi energetiche G figli di qualche decennio passato, nel secondo si vive in una serialità intermedia di un grigio tessuto urbano mentre nel terzo – in gran parte progettato ex novo – si vive a contatto con i limiti fisici della città, ma in posizione centrale.
Hanno in comune il fenomeno della qualità urbana latente o presente solo a tratti. Ma anche i segni dell’inurbamento, della palazzina condominiale e dell’edilizia delle zone B e C degli scorsi decenni, che ha uniformato il paesaggio di una zona centrale, snaturando quasi ogni legame ambientale e rendendo queste zone urbane costipate dal traffico automobilistico.
Questo costruire, questa modalità di massificazione, può ancora reggere il cambiamento, l’inurbamento e i cambiamenti demografici? Come può accompagnarli nello scenario regionale?
Si tratta di scatti nei quali il cielo isola alcuni elementi del costruito: si tratta, in altre parole, di frammenti edilizi sullo sfondo di scelte urbanistico – edificatorie rivelatesi col tempo inopportune a far assumere alla ziddai il ruolo di una grande città, ma rivelatesi opportune a far diventare la ziddai una città grande, cresciuta oltre i suoi limiti.
Si parte da qui, per pensare (e compattare?) le sfide metropolitane locali contemporanee.
Federico Puggioni
[1] Il paragrafo costituisce una sintesi discorsiva del capitolo di introduzione territoriale alla Tesi di Laurea in Architettura dello scrivente, intitolata La riqualificazione dell’ex Saponificio Ledà a Sassari, A.A. 2013-2014.
[2] I dati contenuti in Comune di Sassari – Relazione al PUC, 2014 – Allegato C – Studio del Fabbisogno residenziale, distinguono la quantità costruita al centro e in agro; sono stati presi in analisi questi due decenni in quanto coerenti all’analisi di questo articolo e al suo intorno temporale: essi inoltre corrispondono al picco degli interventi in città e al primo “sorpasso” da parte delle costruzioni nell’agro.
[3] I dati statistici desumibili dalle statistiche ISTAT e di settore sono reperibili dall’omonimo sito internet dell’Istituto, mentre il punto della situazione sullo scenario regionale è presente più specificamente nel capitolo Fenomeno dello Spopolamento di G. Puggioni e nell’Atlante del volume SPOP – Istantanea dello spopolamento in Sardegna di Cocco, Fenu, Cocco-Ortu, Letteraventidue, 2016
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