Lo scorso 21 Settembre 2016 è ricorso il decennale della scomparsa di Alan Fletcher. Ripercorriamo la carriera del graphic designer inglese grazie alla testimonianza di Enrico Cicalò.
Enrico Cicalò, ingegnere, grafico e illustratore, ricercatore presso il Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica dell’Università degli Studi di Sassari. Dopo aver conseguito il master allo IUAV e il dottorato a Sassari, il suo percorso formativo si è arricchito a Londra nel campo della grafica e della ricerca, prima collaborando con Alan Fletcher e poi come Visiting Researcher presso la Bartlett School della UCL – University College of London. Attualmente, oltre ad essere docente di Disegno all’Università di Sassari, è docente a contratto presso la Facoltà di Ingegneria e Architettura e la Facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari dove è anche docente del corso di Grafica presso il corso di Laurea in Scienze della Comunicazione. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche e responsabile di progetti di ricerca e del laboratorio di ricerca Disegno Research Lab che sviluppa progetti di ricerca di base e applicata nei campi delle Visual, Graphic e Design Sciences. Dirige la collana editoriale Grafica. Linguaggi grafici e comunicazione visiva per la Aracne Editrice.
1) A dieci anni dalla scomparsa di uno dei maggiori maestri della grafica del XX secolo, qual è il suo ricordo di Alan Fletcher come intellettuale e artista di fama internazionale?
Quando penso ad Alan Fletcher i ricordi sono molti. Due, in particolare, le immagini che si sovrappongono nella mia mente: quella più professionale di un Fletcher maestro della grafica, ovviamente, con la genialità delle sue opere che hanno fatto la storia del graphic design internazionale; e poi quella più umana di un Alan uomo di grande sensibilità, generosità, disponibilità e curiosità. Poi è indelebile il ricordo del suo studio, non solo per il suo essere una sorta di esposizione permanente delle sue opere, ma in quanto specchio della sua personalità, grande ma schivo, quasi nascosto tra i vicoli di Notting Hill, rigoroso e allo stesso tempo ironico, semplice e allo stesso tempo complesso, ricco di dettagli ma ordinatissimo, silenzioso ma capace di comunicare visivamente infinite storie, modernissimo eppure denso di storia, ospitale e accogliente nonostante la sua preziosità. Poi il ricordo del suo quaderno sempre pronto ad essere aperto per catturare il mondo con pochi segni rapidi e sicuri, la sua taglierina sempre in tasca per estrarre dalla quotidianità frammenti di stampe che poi si trasformavano magicamente in opere grafiche sempre sorprendenti…
2) In che modo Alan Fletcher ha messo insieme, e tradotto nella sua produzione artistica, le influenze culturali e sociali che ha vissuto in modo diretto nella sua vita?
Ho conosciuto Alan Fletcher prima attraverso le sue opere, poi attraverso la sua persona e infine attraverso la sua storia. In un primo momento, da studente, sono stato affascinato dai suoi lavori, poi ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente sia come docente che come grafico, infine da ricercatore ho indagato la sua storia, il percorso che lo ha condotto sino ad Alghero dove è stato il primo docente dei corsi di Disegno e ha progettato l’identità visiva della scuola di Architettura.
La figura di Alan Fletcher sintetizza in sé le tradizioni grafiche europee e la freschezza della cultura pop americana, nutrendosi dello sperimentalismo del primo modernismo britannico, dell’eleganza e del rigore delle esperienze grafiche svizzere. Nel suo percorso incontra maestri del Bauhaus come Joseph Albers, e figure di primo piano della grafica americana degli anni Cinquanta come Paul Rand, Saul Bass e Leo Lionni. Il risultato di questa inedita miscela è un’impronta unica, ironica e gioiosa, mai scontata, sempre geniale, che fa di Alan Fletcher una delle personalità più rilevanti nel panorama internazionale della grafica e della comunicazione visiva.
3) Esisteva per Fletcher un trait d’union tra la grafica, la comunicazione visiva e l’architettura?
Certamente. “DESIGN IS NOT A THING YOU DO. IT’S A WAY OF LIFE”. “Il progetto non è una cosa che si fa. È uno stile di vita” è l’idea che ha guidato la sua vita, perché, come amava ripetere Fletcher, ogni progetto deve nascere da un concetto. Il suo percorso di vita è un progetto che si realizza seguendo una passione, quella per quel disegno capace di assumere in sé il duplice significato di figura e di progetto, di rappresentazione visiva e di atto creativo, senza distinzioni di scale di progetto, di campi disciplinari o applicativi.
4) Quando nacque la facoltà di Architettura ad Alghero, Fletcher accettò di aderire a questo nuovo progetto. Quali sono stati gli insegnamenti che ha portato nella sua esperienza in Sardegna?
Fletcher insegnava nei corsi di disegno del primo anno, inteso non solo come il primo anno del corso di studi, ma il primissimo anno della storia della Facoltà di Architettura. Il suo approccio risultava forse un poco spiazzante per i nostri studenti che si aspettavano un insegnamento tradizionale del disegno. Lui insegnava invece a guardare la realtà. Nella consapevolezza che il disegno nasce dallo sguardo, cercava di stimolare gli studenti a guardare la realtà in maniera diversa, più profonda e sensibile. Potremmo dire che insegnava loro “The art of looking sideways”, e qui riprendo – non a caso – il titolo del suo trattato di grafica edito dalla Phaidon di cui lui è stato per molto tempo anche direttore artistico.
In occasione del decennale della scuola di Alghero, nel volume da me curato “Progetto, ricerca, didattica. L’esperienza decennale di una nuova Scuola di Architettura”, ho avuto la possibilità di raccontare – grazie anche alla collaborazione della moglie Paola, della figlia Raffaella e della sua storica collaboratrice Sara – la storia di Alan Fletcher. Nello scriverlo mi sono posto proprio questa domanda, quali fossero gli insegnamenti che ha lasciato Alan Fletcher attraverso non solo la sua esperienza didattica ma anche e soprattutto attraverso la sua vita. I titoli dei paragrafi di quell’articolo rappresentano per me gli ingredienti principali della sua carriera, ma anche degli insegnamenti importanti per i giovani: anticonformismo, ambizione, semplicità, capacità di saper coltivare e cogliere la fortuna, cooperazione e soprattutto essere capaci sempre e comunque di nuovi e coraggiosi inizi.
Intervista a cura di Matteo Fusaro
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