Renzo Piano, appena nominato da Giorgio Napolitano senatore a vita, ha deciso di devolvere la sua indennità di 153mila euro per un progetto ambizioso: creare un gruppo di giovani architetti per lavorare sulle periferie e sulla città che sarà. Il gruppo si chiama G124 (dal numero della stanza del senatore a palazzo Giustiniani diventato un vero e proprio laboratorio) e lo scorso anno è partito con la selezione di 6 professionisti tra cui un giovane urbanista di Alghero: Roberto Corbia, classe 1984, che a 18 anni ha lasciato la Sardegna per andare a studiare  a Firenze dove si è laureato con una tesi sul “Trasporto pubblico e qualità urbana: un progetto per Alghero”.

Renzo Piano G124_Archivio Fotografico Senato Della Repubblica

I 6 professionisti insieme con Renzo Piano e Giorgio Napolitano nella stanza G124 a Palazzo Giustiniani – fonte Archivio Fotografico del Senato della Repubblica

Il metodo di lavoro del gruppo G124 è ben raccontato nella loro prima pubblicazione “PERIFERIE N.1: diario di un anno di rammendo” scaricabile gratuitamente dal sito del progetto e su questo abbiamo intervistato Roberto Corbia.

1)       Cosa è la “periferia” per il Gruppo G124? Quali periferie vedi in Sardegna? 

periferìa s. f. [dal lat. tardo peripherīa «circonferenza», gr. περιϕέρεια, der. diπεριϕέρω «portare intorno, girare»]… La parte estrema e più marginale, contrapposta al centro, di uno spazio fisico o di un territorio più o meno ampi…..In partic., e di uso più com., l’insieme dei quartieri di una città più lontani dal centro.

La parola periferia, per come si sono evolute le nostre città, è un termine che etimologicamente non può definire più quelle che nella realtà dei fatti sono le periferie delle nostre città. Questo perché gli elementi e i potenziali indicatori che entrano in campo per definire ed identificare la “periferia” sono a mio e nostro parere molteplici. Non parlo solo dei classici indicatori “quantitativi” ma parlo soprattutto di indicatori “qualitativi” che ci permettano di interpretare quale è realmente il livello di qualità della vita delle varie parti delle città,  e facendo un ragionamento di questo tipo potremmo facilmente scoprire come anche alcuni frammenti centrali delle nostre città potrebbero essere benissimo identificati come periferie.

“Periferie” sono quindi molte più di quello che ci possiamo immaginare e con tutta probabilità, periferie sono gran parte delle città in cui viviamo. Quelle parti cresciute ad esempio seguendo logiche guidate dalla speculazione e che quindi hanno favorito modelli urbani di certo non virtuosi e di qualità, carenti di servizi… o anche per esempio quelle parti centrali dei tessuti urbani che sempre per le stesse logiche non sono mai state riqualificate e quindi oggi presentano tratti di degrado urbano e sociale molto elevati.

Non è facile quindi definire con certezza quelle che sono le “periferie”. Ad oggi non abbiamo a disposizione gli strumenti giusti per poterlo fare però, se proprio devo trovare un  aggettivo che le descriva, le definirei come “luoghi di opportunità”. Il gruppo G124 negli anni cercherà di dare una sua risposta lavorando su una possibile classificazione delle periferie…Ma è un lavoro di ricerca che richiederà un tempo piuttosto lungo al quale stanno lavorando e continueranno a lavorarci tutti i consulenti del gruppo.

Mi viene da fare una riflessione però:  forse dovremmo iniziare a sostituire questo termine con uno molto piu semplice. Città. Perché le periferie sono città. E questo lo dico perché solitamente il termine periferia è utilizzato nell’immaginario collettivo con una accezione negativa. E’ questo a mio modo di vedere è assolutamente un errore. L’esperienza di quest’anno, mi ha fatto capire quanto di bello ci sia in quelle che comunemente tutti definiscono periferie… Non è un bello “estetizzante” ma è un qualcosa che va oltre… E’ una bellezza che trovi nelle persone che vivono questi luoghi, nella loro creatività, propositività, voglia di essere cittadini di una città e non di una “periferia”…

Per rispondere alla seconda domanda quali “periferie” vedo in Sardegna? Beh direi gran parte delle nostre città…c’è molto da lavorare in questi termini nella nostra Sardegna.

 

2)       Qual è la lezione più importante che hai appreso durante questo intenso anno di attività?

 

Anche questa non è una domanda facile… Ho imparato molte cose in quest’anno. Sono stato per un anno intero a contatto con uno dei massimi esponenti della architettura contemporanea nel mondo. Un uomo straordinario, professionalmente indiscutibile ma soprattutto umile. Questa forse è la lezione più importante che ho appreso in quest’anno ma non solo da lui, quanto dai tre straordinari tutor Cucinella, Alvisi e Milan e da tutti i consulenti che si sono seduti al nostro tavolo: approcciarmi con umiltà alla progettazione. Questa è la cosa più importante a mio parere che ci è stata trasmessa…Mi ha colpito moltissimo una frase che Renzo Piano un giorno disse rifendosi a noi:

“Un progettista non deve subito ricorrere alla matita….Bisogna anche saper guardare nel buio…bisogna anche saper aspettare”

Roberto Corbia e Roberta Pastore con Mario Cucinella nel quartiere di Librino a Catania

Roberto Corbia e Roberta Pastore con Mario Cucinella nel quartiere di Librino a Catania

 

3)       Cosa vorresti dire a un giovane laureato sardo che vede nel suo immediato futuro solo una possibilità lavorativa stimolante al di fuori dell’Italia? 

 

E’ una bella domanda. 15 mesi fa prima di iniziare questa avventura ero pronto a fare anche io il passo verso l’estero.  Non avevo davanti a me grandi prospettive e effettivamente, parliamoci chiaro, il nostro è un paese che non premia la meritocrazia, e i risultati ahimè si vedono molto chiaramente. Detto questo però ho avuto però in questi anni la tenacia di credere sempre fortemente in quello che facevo e come lo facevo, e alla fine la grande opportunità è arrivata. La prima cosa che vorrei dire quindi rivolgendomi ai miei coetanei conterranei è quella di crederci e provarci finchè è possibile, e soprattutto non aver mai il timore di non essere all’altezza di qualsiasi situazione.

Rispetto agli stimoli oggi in Italia siamo davanti a una situazione nella quale dobbiamo riappropriarci del nostro futuro e dei nostri territori. Nel 2014 ho girato l’Italia in lungo e in largo e questa reazione l’ho vista con i miei occhi e, per quel che potevamo abbiamo, cercato di intercettarla. Non si può più stare ad aspettare che qualcuno faccia qualcosa per noi. Bisogna prendere in mano l’iniziativa con coraggio, e proporsi e proporre… in questa maniera gli stimoli si trovano anche in Italia.

Detto questo condivido le parole di Renzo Piano che dice che i giovani oggi devono fare una esperienza all’estero per formarsi, per conoscere, per crescere, ma la devono fare con l’intento di tornare in Italia.

 

4)       Tu ti sei occupato del quartiere di Librino, nella periferia di Catania in cui è partito il progetto baL – Buone Azioni per Librino. Guardando al territorio della Sardegna come credi che quanto imparato quest’anno con Renzo Piano possa essere utile per la nostra isola?

 

Beh, la cosa più interessante secondo me è l’approccio che abbiamo avuto sui territori. Un approccio inclusivo che ci ha portato a costruire gli obiettivi ed i progetti insieme ai cittadini, alle parti sociali e alle amministrazioni attraverso processi di partecipazione veri che hanno determinato le scelte. Siamo partiti quindi dall’analisi dei bisogni e dal capire quale fosse l’identità dei territori, e da li abbiamo cercato di trovare delle risposte. Se penso alla Sardegna quindi non posso che pensare che la stragrande maggioranza dei comuni oggi si trova a dover ripensare i propri strumenti urbanistici per adeguarli al nuovo piano paesaggistico regionale. Quale occasione più grande di questa quindi per ridar voce ai territori ed ai loro bisogni? Oggi non dobbiamo più pensare a come le nostre città possano crescere, ma bensì dobbiamo pensare a come realmente le nostre città e i nostri paesi possano diventare realmente tali. E lo dobbiamo fare dimenticandoci i grandi progetti, le grandi trasformazioni, soprattutto quelle calate dall’alto. Dobbiamo ripartire da piccoli interventi, tanti piccoli interventi, che vadano realmente ad incidere sui territori, creando opportunità e innalzando la qualità della vita.

Roberto Corbia e Roberta Pastore dentro la palestra "San Teodoro" a Librino, nel giorno della presentazione del progetto "buone azioni per Librino"

Roberto Corbia e Roberta Pastore dentro la palestra “San Teodoro” a Librino, nel giorno della presentazione del progetto “buone azioni per Librino”

I temi su cui lavorare sono tanti. Renzo Piano ha stilato una sorta di decalogo fatto di 20 punti (http://renzopianog124.com/post/75523701119/venti-punti-per-la-riqualificazione) sui quali secondo lui bisogna lavorare. Alcuni di questi sono:

 

  • La crescita della città per implosione e non per esplosione. Basta alla crescita ormai insostenibile a “macchia d’olio”
  • Greenbelt: difesa del suolo agricolo e dei valori paesaggistici attorno alla città
  • Trasformare i brownfield in greenfield. (e non l’opposto come si è fatto fino ad oggi).
  • Trasformazione delle aree dismesse (industriali, ferroviarie, militari).
  • Le aree costruite (abusivamente!) in zone a rischio.
  • Consolidamento strutturale degli edifici a partire da quelli pubblici, come le scuole: sono 60mila le scuole a rischio sparse per l’Italia.
  • Adeguamento energetico: si potrebbero ridurre in pochi anni i consumi energetici degli edifici del 70-80 per cento.
  • L’autocostruzione. Promuovere cantieri leggeri e forme cooperative per il rammendo degli edifici.
  • Il verde urbano dentro la cintura come sorgente di bellezza e di migliori condizioni climatiche.
  • I luoghi iconici della città, luoghi dell’urbanità: piazze, strade, ponti, parchi, fiumi che   mancano nelle periferie.
  • Gli edifici iconici che fecondano la città, ma di rado le periferie. Scuole, università, musei, spazi musicali, biblioteche, ospedali, municipi, tribunali, carceri, etc.

 

C’è un lavoro immane da fare, e ci sarebbe molto spazio per tutti anche e soprattutto per noi giovani pieni di idee. Perché da quelle bisogna ripartire.

 

 

5)       Mano (www.manoapp.it) è la app nata da una start up etica che si propone di ricreare legami di fiducia di vicinato e che è stata sperimentata attraverso un progetto culturale di innovazione sociale nel quartiere di Santa Teresa a Cagliari. Credi che la tecnologia possa aiutare la ricucitura delle periferie?

 

Decisamente si. Viviamo in un era in cui la tecnologia è uno strumento fondamentale per riuscire a coinvolgere il piu possibile le persone e a renderle partecipi delle decisioni. L’iniziativa di MANO è a mio parere una cosa straordinaria, perché nel suo piccolo cerca di svolgere un ruolo fondamentale, quello di favorire la ricostruzione di quell’indispensabile senso di comunità che in questi anni abbiamo sempre più smarrito in favore di uno stile di vita sempre più individualistico.