Semplicità e consapevolezza: a volte non sono le grandi orazioni, e nemmeno i latinismi, a fare di un insieme di frasi un bel discorso. Il miglior modo di comunicare è ascoltare, un architetto non dovrebbe mai dimenticarlo, e Mario Cucinella ce l’ha ricordato nella conferenza tenutasi a Cagliari, il 13 maggio 2015. Come disse Bernardo Sechi “l’urbanistica si fa con i piedi”, camminando per le città, parlando con chi le vive e cercando di colmare quell’immensa distanza che si frappone fra chi governa e chi abita. Quanto sarebbe più bello vivere in una casa pensata per noi, in base alle nostre esigenze e ai nostri gusti, piuttosto che in una casa che ci fa sentire come degli estranei?
E allo stesso modo, quanto sarebbe più bello vivere in una città che sentiamo nostra, creata in base a ciò che desideriamo, e non che ci faccia sentire come degli stranieri nella propria terra?
Però sappiamo anche che costruire da zero le nostre città è pura utopia, “forse non dobbiamo più pianificare granché ma mettere le mani su ciò che c’è e metterlo a posto”, le città sono già costruite e per soddisfare le nostre necessità hanno bisogno di essere ripensate. Diventa irrinunciabile a questo punto l’empatia, “capacità di ascolto che serve per mettere in moto un meccanismo condiviso”.
È qui che si rivela la grande coerenza dell’architetto, empatia non è semplicemente professare di capire il prossimo, è realizzare l’asilo nido di Guastalla pensandolo a partire dall’immagine di una fiaba, simulando la sua struttura quasi fosse un ventre materno.
Empatia è creare una scuola per piccoli con una struttura per piccoli, allegra, vivace e stimolante per i sensi. È immedesimarsi in uno di quei piccoli per realizzare la scuola dei propri sogni, ma è anche comportarsi come uno dei grandi per capire di cosa ha bisogno un piccolo per crescere bene. Allora è parlare con le maestre, con i papà, con le mamme e sopratutto con i bambini, quelli che frequenteranno e quelli che hanno già frequentato. Per i bambini non esistono differenze né preconcetti e il loro è un modo di vedere le cose che noi abbiamo dimenticato.
È una grande responsabilità progettare edifici, che “sono immobili ma viaggiano nella memoria” lasciando un segno indelebile. Cucinella ne è un esempio quando ricorda la sua scuola, che tanto amava per com’era fatta: luminosa, calda e accogliente, e forse è proprio per questo che ha voluto fare l’architetto.
È capire che una città come Mirabello, rimasta senza scuola, è una città ferita e senza futuro e allora è costruirne una provvisoria in 47 giorni, progetto compreso. È realizzare un edificio così tanto apprezzato e desiderato da far sembrare che fosse lì da sempre. È capire che la contemporaneità non può fare a meno della tradizione radicata nel luogo. E che in Algeria, dove si costruisce ancora come un tempo, il miglior modo di approcciarsi all’architettura è lasciarsi ispirare dalla preesistenza. È immedesimazione.

Sistema di raccolte delle acque in Algeria – Nuova sede dell’Arpt algerina, progetto di Mario Cucinella
Oltre all’uomo dovremmo ascoltare anche la natura che, non dimentichiamo, stiamo distruggendo passo dopo passo. Il nostro futuro è grigio.
E “il futuro è vicino”.
Dovremmo iniziare a prendere coscienza che il pianeta non ha risorse infinite e che un giorno non risponderà più a tutte le nostre richieste. La soluzione per Cucinella è l’edificio ad energia zero. Per fare ciò, sottolinea, architetti e ingegneri dovrebbero sedersi di nuovo allo stesso tavolo cosicché poesia e tecnologia possano tornare a convivere come in passato.
Le rimanenti sedie vuote andrebbero occupate dai tanti attori del processo alla ricerca, non soltanto di un’innovazione dal punto di vista del consumo energetico, ma sopratutto di un cambiamento radicale di mentalità. Non possiamo pensare soltanto all’oggi, la sostenibilità è per il domani e la sostenibilità è la cultura. Basta, basta costruire. Di questo passo nei prossimi 20 anni realizzeremo il 50% di quanto fatto fino ad oggi. Riusciamo a immaginare le nostre strade così affollate di edifici? La formula magica è “zero consumo netto del suolo”.
Ciò vuol dire “compensare il nuovo costruito con le superfici permeabili creando un’economia circolare, non punitiva, recuperando prima di tutto le aree dismesse e restituendo suolo permeabile all’ambiente.” Non possiamo far finta che il problema non ci riguardi, perché se non colpirà noi direttamente, peserà sui nostri figli o sui figli dei nostri figli. E fra vent’anni non vorremo dover dire che è troppo tardi per fare qualcosa.
Questo discorso deve valere ovunque: non possono esistere città, e nemmeno cittadini, di serie A o di serie B. Anche le periferie saranno protagoniste di questo processo, hanno diritto ad eguale, o addirittura forse maggiore, attenzione. La strada è certamente in salita ma, per usare una metafora automobilistica, abbiamo già spuntato e come sappiamo è la parte più difficile.
È la parola empatia a prestarsi meglio per definire brevemente questo incontro: Empatia come modo di esprimere le proprie idee, come modo di progettare e di vedere il domani. O più semplicemente come capacità di provare ciò che sentono gli altri.
Martina Loi e Alice Salimbeni – Associazione CultArch
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