Recentemente il quartiere Santa Teresa è stato investito da una serie di coinvolgenti eventi che hanno convertito quest’area periferica in un cuore pulsante di creatività e sperimentazione.

 Nella giornata di sabato 13 dicembre nelle aule della scuola media Dante Alighieri di Pirri, in via S. Isidoro, Cultarch e Sardarch Architettura hanno realizzato il laboratorio “Architetti per un giorno”, una delle diverse iniziative all’interno del grande progetto “Santa Teresa Laboratorio Aperto”, portato avanti dal Comune di Cagliari, il DICAAR dell’Università di Cagliari, Mano App e il Gruppo 7 di Cagliari 2019, che vede impegnate numerose associazioni operanti nel territorio cittadino.

“Santa Teresa Laboratorio aperto” ha rappresentato un nuovo punto di partenza per la vita del quartiere. Attraverso innumerevoli iniziative , per lo più nate all’interno della candidatura di Cagliari a capitale Europea della Cultura 2019, destinate alla cittadinanza e irrealizzabili senza di essa, si è cercato di portare all’attenzione generale le potenzialità e i problemi di un’area rimasta per troppo tempo ai margini della politica comunale. Le attività presentate durante l’evento, tra le quali ad esempio l’innovativa applicazione per la collaborazione tra cittadini creata dal gruppo Mano App, sono pensate come eredità attiva negli anni a venire e hanno come obiettivo cardine quello di riqualificare la città, e nello specifico il quartiere di Santa Teresa, attraverso l’arte, la comunicazione e l’innovazione sociale.

Gli studenti, attraverso carta, forbici e colori, in un’aula allestita per l’occasione, sono stati chiamati a riprogettare la scuola in disuso di via Santa Maria Goretti, chiusa una decina di anni fa per mancanza di alunni ed oggi sede di alcune associazioni.
Dopo aver spiegato ai ragazzi il tema del laboratorio, e avergli illustrato le caratteristiche del “sito di progetto”, è stata posta la fondamentale domanda: “Cosa fareste voi, giovani cittadini del quartiere di Santa Teresa, della vostra ex scuola?”

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La scuola in disuso di via Santa Maria Goretti, oggetto del laboratorio.

Grandi fogli di carta bianca hanno cominciato così a riempirsi di idee, invenzioni e sogni. Schizzi e plastici, attinti dalla cassetta degli attrezzi dell’architetto, hanno permesso agli studenti di diventare protagonisti attivi del loro territorio, ripensando la ex scuola in base alle loro passioni, esigenze e preoccupazioni. I ragazzi di Cultarch, ricoprendo le vesti di veri e propri insegnanti, hanno cercato di trasmettere ai “giovani architetti” la passione verso la materia, facendoli riflettere sull’utilizzo e l’aspetto degli spazi del quartiere a loro più familiari, per poi ragionare sulle funzioni più appropriate da inserire nel progetto.

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Un’immagine del laboratorio per ragazzi “Architetti per un giorno”.

Innumerevoli sono state le problematiche di Santa Teresa emerse durante la discussione che ha accompagnato l’attività pratica. Molti ragazzi si sono lamentati dell’insufficienza di spazi sportivi e ricreativi in generale: alcuni non frequentano i campetti dell’oratorio perché ritengono la quota mensile richiesta troppo alta; mentre altri non frequentano regolarmente l’Exmè perché vorrebbero trovare più varietà fra le attività proposte.

Alcuni ragazzi, che probabilmente vivono il fenomeno della disoccupazione da vicino, si sono dimostrati sensibili al tema del lavoro e hanno ragionato sulla possibilità di creare nuovi posti occupazionali per gli abitati di Santa Teresa: hanno quantificato il personale necessario alla gestione dell’edificio e in base a ciò hanno inserito alcuni ulteriori spazi, come l’ufficio per il guardiano o il bancone per l’accoglienza.

Infine, diversi alunni hanno avuto difficoltà ad immaginare degli spazi pubblici diversi da quelli tipici di un centro commerciale: non riuscivano a concepire un cinema non a pagamento con un’unica sala e le idee principali riguardavano l’apertura di negozi di marche dai prezzi abbordabili e discoteche.
Su quest’ultima particolare annotazione sorge spontanea una domanda, che richiederebbe una lunga attività di ricerca dedicata: il progressivo abbandono delle piazze, a favore dei centri commerciali, è un dato generazionale, testimonianza degli usi e costumi che cambiano, oppure è la conseguenza di decenni di mancate politiche cittadine rivolte agli spazi pubblici?

In linea generale, i progetti hanno evidenziato il desiderio dei ragazzi di avere maggiori spazi pubblici, aperti per tutta la giornata e fruibili a piacimento senza dover seguire rigidi orari prestabiliti, dove poter stare con i coetanei a studiare e coltivare le proprie passioni. Piscina coperta, sala musica, sala lettura, mensa, cinema, sala aiuto compiti, palestra e campetto sportivo polivalente sono le principali destinazioni d’uso che i giovani architetti hanno inserito nei propri progetti.

L’esperimento condotto nella scuola media Dante Alighieri di Pirri ha senz’altro permesso agli aspiranti progettisti e ai ragazzi di Cultarch di riflettere sulle possibili traiettorie di un’architettura fondata sull’ascolto, in cui la figura dell’architetto fa parte di un più ampio processo progettuale.
Emblematica a tal proposito è la domanda posta da un ragazzo a fine laboratorio: “Ma quando realizzerete i nostri progetti?”.
Per gli alunni l’esperienza ha senz’altro da una parte attivato l’interesse per l’architettura, che magari li porterà un giorno a lavorare in questo campo, dall’altra ha stimolato in loro la riflessione sull’importanza del costruire, del creare luoghi condivisi, dell’abitare, dell’ascoltare.

Derrida sosteneva che «il cittadino deve avere il diritto di porre domande all’architetto, buone domande, domande competenti, deve avere il diritto di condividere con l’architetto una certa competenza professionale. Questa è la ragione per cui l’architettura dovrebbe essere insegnata nelle scuole elementari»(1).

La necessità di tradurre il progetto in processo, in opera aperta capace di accogliere, ascoltare, annettere le tensioni della città e dei suoi cittadini, riecheggia durante lo scambio di battute avvenute lungo tutto il corso dell’evento. Occorre però non tralasciare la lezione di decarliana memoria in cui «le risposte di un bravo architetto alla partecipazione sono sicuramente di tipo personale»(2), un invito a contaminarsi con il luogo, compresi gli utenti; è il coraggio della scelta di costruire le aspirazioni degli altri dentro il proprio mondo.

C’è un rapporto estremamente intenso tra lo spazio fisico e chi lo abita, questo m’interessa altrimenti come potrei fare l’architetto?   G. De Carlo

a cura di Cultarch: Manuel Soddu e Maurizio Castangia

(1) J. Derrida, Adesso l’architettura, trad. e cura di F. Vitale, Scheiwiller, Milano 2011, p. 172.

(2) G. De Carlo, L’architettura della partecipazione, a cura di S. Marini, Macerata, Quodlibet, 2013, p. 19.