Dici Gallura e pensi alla Costa Smeralda. Non ovunque e non sempre, per carità. Esiste però una corrente di pensiero, ben rappresentata da qualche illustre occupante della Costa, secondo la quale se sei stato almeno una volta a Porto Cervo, magari ad ammirare i mega yacht schierati al porto vecchio e ornati da quella strana bandiera con sfondo rosso (strana se è la prima volta che fai un giro da quelle parti, poi ci fai l’abitudine), magari per sorseggiare un cocktail nel locale giusto, hai visto la Gallura. Se non la Sardegna, per qualche integralista.
Ecco, nelle righe che seguono, la Costa Smeralda sarà citata lo stretto necessario e per affermare l’esatto contrario: I “Monti di Mola” (nome storico di quel tratto di costa sarda) così come li conosciamo oggi, non sono che un tassello di quel complesso mosaico che è la Gallura. Magari più sfavillante e appariscente di altri, ma pur sempre un tassello.
Questo concetto vale a maggior ragione oggi che, superata l’epoca d’oro degli Aga Khan e dei Barrack, l’immagine della Costa sembra avere cominciato un lento e inesorabile declino, apparendo sempre più autoreferenziale e “manierista”.
Del tentativo di rinnovamento proposto dagli investitori del Qatar e sul nuovo corso del Consorzio, vista la complessità dell’argomento, avremo modo di parlare quanto prima in un articolo dedicato.
Quali sono dunque le potenzialità del territorio gallurese? E’ davvero possibile pensare a un modello che vada oltre il turismo di lusso, magari unendo benessere economico e valorizzazione del territorio? Quale ruolo dovrebbero avere in questo processo le comunità locali?
In un periodo storico dove il perdurare della crisi obbliga a ipotizzare soluzioni alternative, oltre che innovative, queste dovrebbero essere domande alle quali la politica (a tutti i livelli) dovrebbe rispondere in maniera approfondita ed esaustiva.
Noi di Coast, in questo spazio, non abbiamo certo la pretesa di darle queste risposte. Solo ci piacerebbe innescare un dibattito su questi temi, a nostro avviso vitali per un territorio a forte vocazione turistica qual è la Gallura. E ci sembra giusto farlo ora che è in gioco il rinnovo della Giunta Regionale, cui spetterà l’onere di guidare la Sardegna nei prossimi anni.
Per far sì che la politica, che generalmente (e purtroppo) vive di tempi brevi e di strategie basate sul futuro immediato, riesca a essere efficace sul medio e lungo periodo, è necessaria una seria ed efficace pianificazione, che superi le logiche dettate dalla continua ricerca del consenso a favore di strategie che richiedono talvolta tempo per essere attuate.
A questo proposito, si è parlato molto e in maniera molto intensa nel periodo scorso del cosiddetto piano paesaggistico dei sardi (PPS). Vista l’autorevolezza degli interventi (tra cui quello di Sandro Roggio, che personalmente condivido) non ci è sembrato opportuno intervenire.
Leggendo il dibattito, e ancora più quanto riportato dalla stampa, viene da fare una considerazione: vuoi per esigenze di semplificazione, vuoi perchè “fa notizia”, vuoi perché quando si parla di pianificazione se ne parla sempre in termini di vincoli. Quasi mai dei piani si parla riferendosi della loro funzione di disegnare strategie e assetti futuri di un territorio.
E’ così che, per non rimanere intrappolati in un discorso che avrebbe come unico tema i vincoli di edificabilità della costa, ossia da una parte la tutela integrale dell’ambiente, dall’altra il “rilancio dell’economia attraverso nuove opportunità di lavoro”, vogliamo ribaltare il discorso:
Quali sarebbero le azioni da intraprendere affinché il territorio gallurese possa avere uno sviluppo omogeneo e sostenibile, sia dal punto di vista sociale, sia da quello ambientale? Quale visione possiamo auspicare per la Gallura del futuro?
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