Durante gli ultimi vent’anni il ruolo della fotografia all’interno di quei progetti che fanno dei luoghi e del rapporto che con essi hanno i rispettivi abitanti il punto centrale delle loro indagini è mutato in maniera sensibile, influenzato dai cambiamenti che hanno investito il mondo dell’arte e dai diversi assetti socio-economici che si sono stabiliti a livello globale.
Nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso autori come Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Mario Cresci, Guido Guidi, Mimmo Jodice, Vincenzo Castella e molti altri contribuirono a definire dal punto di vista estetico e culturale l’identità della fotografia italiana concentrata sull’indagine del paesaggio e sul rapporto con i luoghi; a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio la stagione dei progetti di committenza pubblica che li vide protagonisti volgeva ormai al termine, riducendo sia il numero dei progetti attivati che l’ampiezza del loro intervento, motivi per cui questo tipo di incarico smette di essere il punto di riferimento principale per la produzione della fotografia documentaria. Così come cambiò il contesto della committenza, sul finire del secolo scorso mutarono anche le modalità e i campi di indagine dei fotografi e il loro ruolo all’interno dei progetti pubblici.
Venuto meno il supporto economico della committenza pubblica, si fa strada il fenomeno dell’auto-committenza, strategia che consente agli autori di sviluppare in totale autonomia i temi della propria ricerca; spesso, soprattutto tra i fotografi delle ultime generazioni, queste esperienze si sviluppano abbandonando il carattere prevalentemente individuale per assumere una dimensione collettiva, supportando la diffusione del proprio lavoro tramite la rete o produzioni indipendenti: gran parte di questi gruppi (ad es: Documentary Platform, Landscape Stories, Lugo Land, Terra Project e molti altri) hanno ricevuto il giusto riconoscimento venendo esposti in occasione di “Laboratorio Italia”[1], 23ma edizione del SI Fest – Festival Internazionale di Fotografia (a cura di S. Rossl e M. Sordi) in virtù della loro forza “che risiede principalmente nella condivisione spontanea di un progetto, di un obiettivo, nella ricerca di un confronto e nella necessità di diffusione delle idee all’esterno”, con un “modo di operare che, pur evidenziando le qualità del singolo, mira a superare le sfera dell’individualità a favore di una rivoluzione collettiva che potrebbe aiutare a sensibilizzare molti ambiti culturali nel nostro paese”[2].
Per quel che riguarda i temi affrontati, verso la fine degli anni Novanta i fotografi spostano la loro attenzione sui fenomeni legati alla globalizzazione su una scala mondiale, sperimentando la messa in atto di strategie di indagine più articolate; anche nei casi in cui lo sguardo si posa sul paesaggio italiano, l’osservazione va oltre la specificità dei luoghi: “rispetto alla fotografia vagamente nostalgica e consolatoria del paesaggio quotidiano quale era stata quella di “Viaggio in Italia”, siamo qui di fronte a frammenti problematici e conflittuali; […] i fotografi agiscono come recettori, come sismografi, capaci di cogliere nella realtà segnali visibili di processi immateriali che, senza tralasciare la scala locale, rimandano a quella globale”[3]. Le dinamiche legate ai cambiamenti del mondo del lavoro, della finanza, della gestione del territorio e della società fanno si che lo spazio urbano torni al centro dell’attenzione e che gli artisti si interroghino su “nuove forme di rappresentazione e di intervento” lavorando sui concetti di luogo e identità.
01_Affissione pubblica dei ritratti degli abitanti del quartiere di Stampace, atto finale del progetto “Stampaxi+” – SardarchE’ all’interno di questo contesto che, anche nel nostro Paese, si rafforza l’interesse verso la dimensione pubblica dell’arte e si diffondono quelle pratiche in cui l’artista (ormai i confini tra le discipline e i relativi strumenti di indagine si fanno sempre meno netti) interviene sempre più spesso con strategie che mettono al centro il dialogo e le relazioni con il contesto, puntando non tanto sulla produzione di un manufatto (o comunque di qualcosa di finito nel tempo) ma sull’innesco di processi. All’interno del convegno “Arte e pubblico, una giornata di confronto sul significato delle più recenti operazioni di arte pubblica” (MuFoCo, 2011), l’intervento della giornalista e critica d’arte Adriana Polveroni spiega che “nelle sue forme migliori l’arte pubblica ha significato l’apertura di un processo di cittadinanza operato dagli artisti” e che “nei progetti di arte pubblica talvolta si è andati oltre, arrivando a conferire al pubblico parte dell’autorialità del processo artistico” come è accaduto ad esempio per il progetto “Salviamo la luna” realizzato a Cinisello Balsamo dall’artista J. Gerz o per i progetti realizzati a Mirafiori del gruppo a.titolo. In queste occasioni, prosegue Polveroni, l’artista si mette in gioco entrando in relazione con il contesto in cui si trova ad operare, innescando e portando avanti processi partecipativi che spesso sconfinano al di là della semplice definizione di “arte”, avvicinandosi all’urban planning, alla mediazione sociale e alla governance del territorio.
02_Un momento di discussione con gli abitanti del quartiere di Santa Teresa – Pirri nell’ambito del progetto “Mano”
La capacità della fotografia di essere strumento per ampliare la conoscenza dei luoghi e, in virtù di questo, di essere mezzo per trasformare il modo in cui ci si relaziona con essi, la rendono adatta a giocare, ancora una volta, un ruolo importante all’interno di molte pratiche pubbliche. Oggi il fotografo può dunque portare il suo apporto e la specificità del suo agire nella contemporaneità all’interno di progetti/processi complessi che puntano a portare l’opera fuori dai contesti tipici del sistema dell’arte e a coinvolgere in maniera attiva e partecipativa i cittadini (sino al punto da trasformarli in autori), progetti che entrano nella logica di un rinnovamento del ruolo non solo delle arti visive ma anche dell’architettura e del design, discipline che diventano così strumenti per azioni di riappropriazione dello spazio pubblico.
Testo e foto: Stefano Ferrando
COMMENTS