La notte del 30 dicembre 200 manifesti grandi 100 x 140 cm raffiguranti i volti delle persone che il 18 novembre sono state colpite dall’alluvione sono comparsi sui muri della città di Olbia, solitamente utilizzati come spazi pubblicitari.
L’azione è stata tanto forte quanto breve; poiché già dalle prime ore della mattina seguente la società di affissione del comune ha provveduto a staccare tutte le immagini in quanto sprovviste di autorizzazione. Ciò ha negato la possibilità alla collettività di poter fruire dell’intervento artistico, la cui eco, nonostante tutto, non si è arrestata.
tratto dal blog del progetto Exposed di Gianluca Vassallo
foto di Gianluca Vassallo progetto Exposed
1. Come nasce il progetto Exposed e come si è sviluppato?
L’alluvione è arrivata d’improvviso, in tre ore ha ingoiato la 16 vite, i risparmi di centinaia di famiglie, mobili, vestiti, intimità. Io ero in viaggio. In Italia, come si dice qui, in Sardegna. Al mio ritorno, alcune settimane più tardi, era cambiato tutto. E non soltanto perché alcuni affetti, molti sguardi che avevo incrociato da ragazzo, moltissimi sconosciuti fossero stati trascinati nel fango, ma perché un’area geografica che era stata investita da una profonda trasformazione economico-sociale nel corso di quindici anni, ha dovuto osservare a mani sporche gli effetti di un’economica selvaggia, che consuma territorio fino agli argini, che costruisce senza domandarsi cosa, senza domandarsi per chi, senza interrogarsi sul costo di una trasformazione così profonda e violenta da aver prodotto delle oligarchie spesso colluse con la criminalità organizzata.
Ho voluto reagire a quello che ho visto facendo ciò che, a mio avviso, è proprio dell’arte del presente e di quella prossima. Mosso dalla convinzione che, in un paese in cui gli intellettuali sono decimati, travolti da una vanità che li rende attigui al potere, il compito di fare domande è tutto nelle mani dell’arte, della sua dialettica interna e della sua proposta estetica.
Ad un mese ed alcuni giorni di distanza dal dramma gli alluvionati sono diventati una categoria, un corpo unico, spoglio delle dinamiche singolari, di incubi individuali, di difficoltà materiali soggettive. A tutti un frigo e una cucina. A tutti un sussidio per la casa in affitto. A tutti, insomma, qualcosa di tangibile e – magari – non richiesto, ma nessun ascolto.
La domanda che mi sembrava indispensabile portare al mondo era semplice: Riuscite a riconoscere la storia di ciascuno come qualcosa di unico?
Le cose nel concreto, sono andate così:
L’operazione è nata nella mia testa il 22 di dicembre. In poche ore ho diffuso ad amici, collezionisti, estimatori un link segreto al quale fare riferimento per donare una cifra tra i 25 e i 300 euro, offrire collaborazione e competenze.
Ho fotografato così, tra il 24 e il 26 dicembre sedici alluvionati (uno per ciascun morto che ha colpito l’isola nelle tre ore di ciclone) e ho integrato le immagini con 4 foto di contesto. Ho stampato 240 manifesti 100×140, (12 copie delle 20 immagini), ho messo insieme un piano d’azione, 5 squadre di volontari, un blog, e un curatore, Davide Mariani, perché questa, a tutti gli effetti, doveva essere una azione collocata nel linguaggio dell’arte oggi e, come tale, aveva necessità d’essere posizionata in ciò che oggi accade.
Nella notte tra il 30 e il 31 dicembre abbiamo affisso i manifesti. Alle 4.30 a sole ancora assente, siamo tornati tutti a casa, dopo aver lavorato in venti, con la certezza che la città si sarebbe risvegliata con quegli occhi negli occhi, senza un’autore – l’opera doveva restare senza firma, a meno che non vi fossero responsabilità da attribuirsi – e con una domanda.
Alle 8.00 sono stato svegliato da una delle ragazze fotografate che, sapendo perfettamente cosa sarebbe accaduto, voleva mostrare l’azione al figlio. Mi chiamava per informarmi che gli operai comunali avevano già rimosso tutte le immagini.
foto di Gianluca Vassallo progetto Exposed
2. Nella sua installazione e nel suo lavoro riconosciamo un valore politico, come vive lei questo aspetto della sua professione?
Io credo profondamente nel valore politico di ogni elemento che porti con sé una dimensione pubblica. Persino l’agire quotidiano individuale. Penso al potere rivoluzionario della gentilezza, alla bellezza che può generare e restituire l’ascolto di uno sconosciuto, al consumo consapevole, alla generosità di una parola non dovuta.
L’arte è uno strumento potentissimo di consapevolezza, perché – e qui mi ripeto – ha la possibilità di porre domande al mondo. Ha il dono di farlo muovendo le sensibilità quindi valorizzando risposta individuale prima che collettiva. In questo senso che riuscire a toccare l’altro, singolarmente, possa produrre un cambiamento sentito, desiderato e non solo necessario.
foto di Gianluca Vassallo progetto Exposed
3. Artisti come Jr, collettivi di architetti come Boamistura, utilizzano in paesi in via di sviluppo e ormai in tutto il mondo l’arte come strumento di riqualificazione urbana e sociale. Vedi in Sardegna un inizio e una possibilità di sviluppo di processi di questo tipo?
Credo che qualcosa si muova in questo senso. Ma ho la sensazione che ci sia una vicinanza pericolosa tra istituzioni e arte che rischia di rendere vano quanto in movimento.
Il punto è che se un’assessore chiede ad un’artista di realizzare un intervento in periferia e finanzia quest’intervento, l’indagine sul confine della città, la potenza dell’intervento artistico, diventano strumenti nelle mani delle istituzioni che, così facendo, governano tanto il processo creativo quanto l’indirizzo della ricerca imponendo alle comunità riceventi un’idea di riqualificazione che risponde a bisogni che sono altro dalla visione di un’artista che si poggia sul contesto. Insomma, con una provocazione, non credo che la bomboletta di un’artista possa diventare il tag di un’amministrazione.
L’arte non può essere uno strumento nelle mani delle istituzioni. Ma deve consolidarsi come elemento di crisi che disorienta per o ri-orientare la visione che le istituzioni hanno della città
foto di Gianluca Vassallo progetto Exposed
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