Storicamente è stato un rapporto difficile quello tra town e gown, ma come dimostrano ricerche accurate questo rapporto è stato quasi sempre fecondo.
L’università porta ricchezza alla città, e non tanto – è il meno e spesso è il peggio – in termini materiali (affitti, bar, ristoranti e discoteche, negozi specializzati), ma perché costruisce capacità, competenze, un clima culturale, reputazione.
Ma come sempre succede nella città la presenza di popolazioni diverse porta conflitti, di vario tipo economico, culturale, di uso degli spazi, fiscali, per l’accesso a beni e servizi) e come sempre succede non tutti godono dei vantaggi, non tutti si spartiscono le esternalità negative allo stesso modo.
Ma la presenza di una popolazione studentesca, attiva, giovane e (almeno un po’) trasgressiva ha vantaggi di lungo periodo, meno conflittuali e meno iniqui, così come la presenza di un gruppo consistente di intellettuali e la costruzione di un ambiente più aperto e internazionale.
Insomma in molti casi l’Università fa bene alla città, specie se i numeri non sono eccessivi, se la sua presenza è complementare ad altre attività con cui innesca processi virtuosi, se la sua presenza è collegata alla città e in essa distribuita (e non in Campus separati o colonizzando parti di essa), se vi è un rapporto con la vita e le iniziative culturali, l’associazionismo e un impegno sociale dell’istituzione universitaria.
Nel lungo periodo dunque una sede universitaria giova alla città, come mostrano tutte le ricerche.
Vedete, una città ha bisogno anche di molte altre cose, che sono essenziali anch’esse: per esempio gli serve una sede adeguata, raccolta ed efficiente per l’archivio storico; per esempio se è sede di un tribunale perderlo può essere una perdita per la città.
Ma niente di paragonabile, per favore.
Parlo qui di sedi universitarie. Non delle cosiddette sedi decentrate del tipo “mordi e fuggi”, che occupano un po’ di personale, ma in cui non vivono studenti che non siano del luogo, non ci sono centri di ricerca e i docenti arrivano e vanno; magari un buon assistenzialismo, ma non la costruzione di una presenza che costruisce capacità e capitale sociale. Forse si potevano spendere quei soldi per rafforzare il sistema culturale (a volte importantissimo e di rilievo sovra-locale come il MAN di Nuoro) intorno a cui costruire attività di formazione superiore.
In Sardegna ci sono due sedi universitarie storiche: a mio avviso devono collaborare e rafforzare i rapporti e mettere in comune molte cose, ma devono mantenere una forte autonomia e aprirsi ognuna (e quando possibile insieme) al mondo.
C’è poi l’anomalia di Alghero: un’intera Facoltà in sede decentrata (posso dire che solo degli ignoranti possono parlare di Alghero come di sede suburbana di Sassari, come è Monserrato per Cagliari? Solo degli ignoranti. Punto).
È giusto avere delle sedi decentrate in Sardegna?
Non lo so. Bisogna discuterne, altro che retoriche del “hic manebimus optime” a prescindere.
Io penso che la felice anomalia di Alghero poteva essere (possa essere?) giustificata, ma solo se è una scelta consapevole e responsabile.
E se ciascuno degli attori: Comune, Regione, Ateneo fa la sua parte.
Per ora questi attori hanno fatto e fanno la loro parte solo in parte, in modo occasionale e contingente, svogliato.
Per pigrizia, ostilità, miopia, disattenzione, ignavia, impotenza?
Non lo so.
Fatto sta che un esperimento felice vive una situazione di continua emergenza (e ciononostante …).
Un esperimento felice perché ha innestato circa settecento abitanti equivalenti, giovani, attivi e creativi nel cuore della città, perché ha costruito un ambiente internazione, migliorato reputazione della città, perché ha accresciuto le sue capacità, mostrato come anche al “Sud” si può proporre una Scuola di qualità Mi piacerebbe che se ne volesse discutere. Non succederà.
I miei studenti che votano per M5* sono giustamente adirati con la Casta.
C’è di peggio della Casta.
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