Casa a Stampace poco luminosa, terzo piano senza ascensore, metratura ridotta contro villa indipendente a Poggio dei pini, spaziosa e luminosa, con piscina.
“Io ho scelto di vivere a Stampace: quella scelta è stata una scelta di vita.”
Mentre parlavamo con Cristina in un soleggiatissimo sabato mattina, ho visto in lei impersonificata la prima infrastruttura. Quell’infrastruttura di cui è costruita la città, che non è materialmente fatta di cemento, ma l’infratruttura che è il cittadino, che sono le persone.
L’idea di un cittadino che non sceglie semplicemente una casa dove andare a vivere, ma sceglie la città, sceglie un quartiere. Sceglie di viverlo e sceglie di migliorarlo, vivendone anche i suoi limiti e i suoi problemi.
Questi due giorni a Stampace, sono stati un’immersione in una Cagliari che forse non conosciamo ancora troppo bene. Un quartiere colorato, colorato dai visi e dalle storie delle persone con cui abbiamo parlato, discusso. Colorato da quelle scene urbane che con spontaneità hanno tratteggiato le persone con cui abbiamo parlato di spazio vissuto, di bisogni e di visioni.
Percorrere la via quasi deserta, dove si incontrano le signore che ritornano dalla spesa. Incrociare gli stendini che si appropriano della strada, giardini spontanei che occupano l’asfalto, un ape cross che riesce a cambiare la percezione dello spazio.
Capire,osservare,ascoltare,leggere un quartiere non si può fare sulle carte.
Incontriamo Giuseppe che prende il sole seduto sulle scalinata di Sant’Anna, non aspetta nessuno, si gode la vita del quartiere, il viaivai, le chiacchere, gli sfottó.
Ci racconta di una Stampace diversa, dalla sua dimensione paesana. A Stampace esiste un sistema sociale che si struttura ancora secondo le logiche dei nostri paesi dell’interno, un sistema dove tutti si conoscono e tutti si preoccupano dell’altro.
Mirko, artista di strada che viene da Guspini, ha scelto di vivere a Stampace, un quartiere multietnico, un quartiere, colorato, un quartiere dove realmente lo spazio pubblico non esiste, non ci sono parcheggi, ma forse non ci dovrebbero essere neanche le macchine.
Ennio padre, Ennio figlio, ci raccontano di un senso di appartenenza che cancella le differenze generazionali. Ci racconta Ennio figlio di Stampace come del suo quartiere, “ci ho vissuto 30 anni” dice, “conosco e mi conoscono tutti. Buona parte dei miei contatti sui social network sono del quartiere, almeno 40-50, certo non posso sentirli sempre, ma con tutti mantengo i contatti.”
La rete che aggrappa i sentimenti.
Anche Antonio di Benevento si sofferma, titubante ma curioso. “Non é il mio quartiere, non posso aiutarvi.” Poi vien fuori che frequenta Stampace per il medico e si lascia andare. “C’è molto da fare, ci sarebbe davvero tanto da cambiare. Sono un piccolo imprenditore e ho un piccolo progetto da 20 anni su come si potrebbe cambiare lo spazio tra Via Fara e Via Santa Margherita.” Un parere più distaccato rispetto agli altri, meno viscerale. Chissà quale progetto avrà mai in mente Antonio, forse la stessa di una buona parte del resto della città che non riesce a calarsi nella realtà del quartiere, non ne vede le dinamiche.
L’immagine stampata nella mia mente sono i 64 gradini che collegano il piano terra alla casa di Cristina, i suoi figli che probabilmente si sposteranno un po più in basso ma rimanendo stampacini.
Visita il sito del progetto: mag.sardarch.it/stampaxi+
COMMENTS